sabato 31 maggio 2008

Gioco oplepiano 01: Il pranzo era apparecchiato per quattro

Marco aveva un nodo alla gola color marrone con piccoli rombi senape. Si guardò nello specchio dell’ascensore attendendo il sesto piano dell’Hotel Jolly. Tutto a posto. Capelli, camicia, cravatta, giacca, cinta. Lo specchio non permetteva di guardare più giù. Diede una rapida stirata col palmo delle mani alla piega dei pantaloni. Le porte dell’ascensore si aprirono con un suono soffice.
Aveva sempre invidiato Vanni. Si incontravano ogni mercoledì sera e guardavano un film, poi la cameriera dell’albergo suonava alla porta sempre in perfetta sincronia con l’ultima riga dei titoli di coda e portava una cena, scelta da Vanni e da lui stesso pagata. Marco non poteva permettersi una vita in albergo ma Vanni era figlio di famiglia ricca. Non aveva mai lavorato.
Bussò alla porta 614. L’amico aprì. Era in vestaglia. Come sempre.
“Mi ha chiamato Giulia pregandoti di avvisarti che domani ci vuole a pranzo.”
Marco non riuscì a trattenere un sorriso ironico.
“Giulia? Ma sono quasi dieci anni che…”
“Ha detto che vuole parlarci.”
“Vabbé. Che film stasera?”
“Jules e Jim… mi sembra appropriato!”

Vanni guardò il film in silenzio, con lo sguardo fisso sul televisore. Sapeva che Marco voleva parlare di Giulia ma non intendeva dargli corda. Non prima di aver finito di cenare.

La cameriera bussò con tempismo perfetto, come al solito. Marco non aveva mai capito come fosse possibile, non aveva mai visto Vanni chiamare il ristorante.
Cenarono.

“Fidati – disse Vanni all’improvviso – il pranzo sarà apparecchiato per quattro.”
“Dici?”
“Sono sicuro. Giulia è una donna orgogliosa. E poi ha un sacco di manie… dai! Sei stato suo marito per tre anni. Gli stessi tre in cui io ero il suo amante.”
“…si però…”
“Lasciamo che reciti la sua parte… le farà bene.”
Marco non rispose. Vanni continuò.
“Dirà che non ha amato nessuno di noi due.”

La cameriera bussò alla porta. Sgomberò la tavola in silenzio ed uscì.

Marco andò via quasi subito.

Vanni uscì sul piccolo balcone della stanza e accese una sigaretta. Giulia lo raggiunse quasi subito.
“Hai fatto presto a cambiarti.” disse Vanni.
“Tutte le volte mi sembra impossibile che non mi riconosca – disse lei – possibile che non si accorga che la cameriera sono io?”
“Giulia. Marco è malato. Non dimenticarlo. Dopo l’incidente ha dimenticato tutto e il suo cervello ha ricostruito un passato che non può ricordare.”

Vanni spense la sigaretta sulla ringhiera e la buttò. Rientrò, si tolse la vestaglia e la ripose nell’armadio.
Giulia lo guardava senza parlare.
“So cosa sto facendo – disse Vanni all’improvviso – non temere. Domani apparecchia la tavola per quattro ed entra bene nella parte. Attenta a non commettere errori. Il suo equilibrio è ancora molto precario. Ripetimi quello che devi sapere.”
“Io e lui siamo stati sposati per tre anni e intanto tu eri il mio amante… poi… io ho mollato entrambi. Ah ecco… non vi ho mai amato… nessuno dei due. Ma…”
“Fidati. Sono io il dottore …tu fai quello che ti dico. Adesso andiamo, la camera è pagata fino a mezzanotte.”

Marco tornò a casa a piedi. Pensava a Giulia, a quella cameriera che le assomigliava tanto, al pranzo dell’indomani, a cosa c’era di tanto importante da dire. In fondo lui ci sperava ancora e nonostante temesse la fine amava immaginare un inizio.