lunedì 10 marzo 2008

Da Subaugusta a ponte mammolo


Non ci ho pensato mentre scendevo...Cos'è adesso questa sensazione di morticella in questo sotterraneo ctonio che si chiama metro...perchè non ci ho pensato mentre scendevo...
Dovevo fare in fretta...guadagnare venti minuti di vita a casa...e li pago qui...in questo flusso di carne che s'affonda in terra...la luce, la penombra, il nero, il neon. Sale una musica lontana onnipresente, fosse il tango più selvaggio, lo perdo dalle orecchie, mi sfugge come acqua, nera ...Occhio e mente si concentrano sullo stretto, chiuso, serrato, fermo. Sento di perdermi, svanire.
Allora scatta un cobra dentro che cinghia. Una iniezione di forza interna m'attraversa. Lo scatto di reazione a questo soffocare, seppure irresisitibile, lo rivolgo verso di me. Non devo pensare alla fuga...devo...fuga...non pensare alla fuga. Alla fuga. Adesso è panico silenzioso, rimango immobile come un'atomo, tempo, spazio, energia in un punto compresso, mentre il tempo stesso mi dà la forza di resistere.
Esco dal tunnel dentro me dopo infinito viaggio, non è passato che un secondo, pensando che ho già resistito e posso farcela ancora. Mi guardo allora intorno, più sicuro, ma smarrito dal ritorno fuori. Penso ancora: fuga. Non pensare; è tutto così normale, vedi gli altri come fanno? Vedi tutti gli altri bravi bambini, Ecco, ecco, m'aggrappo ad un video, così domestico, così familiare. Non superare la linea gialla. Ma allora questa fottuta fretta, questo essere spinti da una massa di zombie senza occhi, che non guarda...?
Arriva l'aria finta spinta dallo scatolo di metallo, l'alito già respirato del tubo mi sveglia. Si entra per inerzia nel suo ventre, un pò spinti da un flusso, un pò scavalcati da singoli rivoli di fretta che s'insinuano, prima di lasciare scendere,ansiosi di vincere anche qui. Si resta in piedi aggrappati al ferro, a pugno chiuso. Il nero dei vetri scorre come specchio e consente di avere occhi a tutta la metro, la varietà degli uomini che ci fa tali, che ci salva. Per fortuna uno zingaro arriva con la fisarmonica.Viene dal vagone precedente saltando da uno all'altro ogni fermata. Ha odore animale. Suona senza sostenersi e ti chiedi come fa a restare sospeso... Ha trovato una melodia eterna e la suona senza tecnica, ma come se il sudore e l'abitudine della ripetizione l'avessero levigata. Gioca con le gambe come un surfista di metro, il corpo indietro, anni d'esperienza, il bagatto, l'infinita adattabilità dell'animale uomo quando ha fame..."Macchè fame, quando è pigro e non vuole fare niente" dice uno accanto; quando non si vuole obbligare e diventare Sisifo...
Eppure cade! La macchina l'ha fottuto, una frenata più imprevista del previsto. Ha rotolato per il lercio pavimento, come un cencio: un sorriso si sparge sui volti tirati e pronti a non dare, si rompe l'indifferenza. Scatta una romanità nascosta in un anvedi! E non è più odiato parassita, ma sfigato clown del mercoledì e il caso fa aprire mani e menti. Il tevere frattanto rompe il tubo infero. il fiume un tempo biondo e adesso tinto del piombo cinereo del cielo. Un ponte lega cielo e terra e risorge alla luce la metro: irrompe un sole autunnale come l'acqua metallica. Un binario s'interna nel quartiere, squinternato s'assesta, assetto malridotto. Dura pochi secondi e poi scendo alla prossima. Adesso è tutto diverso: è l'uscita dal lunapark. Si esce. All'aria.

2 commenti:

Cristò ha detto...

Pare che la metropolitana vada alla grande tra gli emigrati... è un serpente cobra che a Bari non conosciamo ancora. Risveglia paure e parole.

Bello Willy.

Io mi sarei sforzato un po' di più sul titolo.

Anonimo ha detto...

fatto