domenica 27 aprile 2008

Gioco Oplepiano 01

Allora propongo un gioco oplepiano:

Scriviamo e postiamo un racconto scritto con le seguenti regole:

1) Il titolo del racconto deve essere: "Il pranzo era apparecchiato per quattro" (Frase presa aprendo a caso Anna Karenina di Lev Tolstoj - Ed. Einaudi, 1945 e 1993, pag. 594);

2) I personaggi sono 3 (2 uomini e 1 donna);

3) La donna non ama né ha mai amato nessuno dei due uomini;

4) Il racconto dovrà contenere la parola "corda";

5) Il racconto dovrà finire con la parola "inizio";

6) Il racconto dovrà essere composto precisamente da 2712 caratteri (spazi esclusi).

I collaboratori del blog potranno postare direttamente il racconto. Chiunque altro può chiedere nei commenti lasciando un indirizzo e-mail

venerdì 25 aprile 2008

Premio "Città di Bari"


E' stata nominata la cinquina dei finalisti al premio "Città di Bari".

    “Lo spazio bianco”, di Valeria Parrella - Einaudi
    “L’illusione del bene”, di Cristina Comencini - Feltrinelli
    “La carovana Zanardelli”, di Giuseppe Lupo - Marsilio
    “Re in fuga”, di Vittorio Giacopini - Mondadori
    “I sentieri del cielo”, di Luigi Guarnieri - Rizzoli
I libri partecipanti erano:

1) Campagna Rocco A pelo d’acqua Adda
2) Pacifico Anna Una storia che credevo chiusa Adda
3) Maiullari Giovanni Dogali Aliante
4) Fusco Celado Anio Salvarsi Arcipelago
5) Annibaldis Giacomo Casa popolare vista mare Besa
6) Coratelli Fernando Altrotempo Cadmo
7) Lucente Marilena Di dove sei Cargo
8- Vinci Simona Strada Provinciale Tre Einaudi
9) Parrella Valeria Lo spazio bianco Einaudi
10) Ricco Pino Apri gli occhi Ennepilibri
11) A.Forcellino – B.Schisa Lo strappo Fanucci
12) Masciola Cristina Razza bastarda Fanucci
13) De Paolis Federica Via di qui Fazi
14) Comencini Cristina L’illusione del bene Feltrinelli
15) Di Natale Silvia Vicolo verde Feltrinelli
16) Cibrario Benedetta Rossovermiglio Feltrinelli
17) Magnani Milena Il circo capovolto Feltrinelli
18) Zagaria Cristina L’osso di Dio Flaccovio
19) Cristò Come pescare,cucinare e suonare la trota Florestano
20) Alessandro Zignani Il sogno di Hamnet Florestano
21) Cutrufelli Maria Rosa D’amore e d’odio Frassinelli
22) Bonvicini Caterina L’equilibrio degli squali Garzanti
23) Anna Pisani Io solo che guarda Iuculano
24) Cairo Vito Un sogno di…vino Il Filo
25) Manoni Sandro L‘isola delle lusinghe Il Filo
26) Palombo Francesca Volevo dirtelo Il Filo
27) Tinti Dianora Il pizzo dell’aspide Il Filo
28) Rugolo Antonino Massimo Sulle ali della tenerezza Baruffa
29) Susani Carola L’infanzia è un terremoto Laterza
30) Berardi Antonio Il cuore e la mente Leonida
31) Prenna Giuseppe Così persi il mio “dio” Levante
32) Di Credico Maurizio Benvenuti a Castleville Liberodiscrivere
33) Serpieri Alessandro Mare scritto Manni
34) Carofiglio Francesco L’estate del cane nero Marsilio
35) Familiari Rocco Il sole nero Marsilio
36) Lupo Giuseppe La carovana Zanardelli Marsilio
37) Affinati Eraldo La città dei ragazzi Mondadori
38) Van Straten La verità non serve a niente Mondadori
39) Giacopini Vittorio Re in fuga Mondadori
40) Zambetti Nicola Paesaggi umani Pensiero Arte
41) Rossano Antonio Quel che restò di una città Progedit
42) Donato Bendicenti La donna di Parigi Rizzoli
43) Di Bari T. – Di Credico F. La Cambusa Rizzoli
44) Guarnieri Luigi I Sentieri del cielo Rizzoli
45) Pent Sergio La nebbia dentro Rizzoli
46) Assini Adriana Le rose di Cordova Scrittura & Scritture
47) Tenerelli Nicola Tarsia Stilo Editrice
48) Campora Francesco L’acqua non ha memoria Voland
49) Cardosa Dulce Maria Campo di sangue Voland
50) Ovejero Josè La vita degli altri Voland
51) Serna Enrique Miss Messico Voland
52) Tinta Lettera aperta ad un amante Wip

Segnalazione corso a Bari

CORSO di GIORNALISMO e SCRITTURA BREVE

Bari, Biblioteca Provinciale Santa Teresa dei Maschi
dal 9 maggio al 6 giugno 2008

20 ore di lezione in aula. 6 mesi di tutoring on line.
Un seminario con il musicista Nabil Ben Salameh.
Un seminario sulla poesia contemporanea con Fabio Moliterni

Informazioni e calendario sul sito
storie

giovedì 17 aprile 2008

Ubahn parte IV, il dolore del ferro...


A volte, nelle comunque perenni giornate invernali, l’acqua cade tagliando i volti. Violenti tagli, a scavare solchi sulla pelle ammorbidita dall’umido, senza sangue. A volte le vetture si fermano, senza riprendere. L’acqua si schianta sui fili ad alta tensione, provocando lampi che che una dignità simil-umana aveva fino ad allora con tenerezza risparmiato, dando seguito a tuoni strozzati, dai toni altissimi, l’ultima resistenza dei cavi dell’alta tensione.

Ci sono tratte che corrono dritte senza mai curvare, come se tentassero un meritato suicidio; altre invece, quelle che dal centro portano ai ghetti, compiono lunghi giri e percorsi a zig-zag, quasi a voler cullare i figli violentemente portati nel proprio grembo in un gesto di vergognosa quanto necessaria pietà. Ci sono linee poi che attraversano il fiume, per sparire là, in quelle zone che le agenzie immobiliari fingono di non conoscere, dove non si parlano lingue umane. E’ qui che le vetture procedono sottoterra, come a voler sfuggire sdegnosamente a quella melma grigia e unta che cola dal cemento qualche metro più in su.

Nei ghetti le case tendono ad abbassarsi sempre di più, a manifestare un senso di pudore e indifendibile dignità, a nascondersi, fino poi a scomparire per la vergogna nei boschi, appena fuori dalla città. Ai palazzi alti del centro fanno da contraltare gli alveari di 3-4 piani delle periferie, senza balconi né slancio alcuno, grigi per confondersi con la nebbia, per non essere scoperti nuovamente, dopo essere già stati abbandonati.

Le vetture che solcano il centro sono boutique di spensieratezza, in dotazione forse da qualche anno, ma già in procinto di passare di moda. Sono luoghi da cui duole separarsi, e da cui è lecito lasciarsi ingannare. Fuori sono di color rosso fuoco, di un fuoco spento dal tempo. Non so se per un gesto di dignità o di dimenticanza, qui non si trova pubblicità di alcun tipo; forse per rispetto o più probabilmente per assenza di considerazione alcuna per forme di esistenza secondaria, il fuoco spento delle vetture non è intervallato da altri colori, o da forme geometricamente disposte per attirare l’attenzione di acquirenti ditratti dal sonno, sia esso quello mattutino, sia esso quello serale, quello più insperato di chi ha perso anche quel minimale slancio del giorno appena iniziato.

Se si percorrono le linee che dal centro portano lontano, verso i boschi del pudore, il progressivo scavarsi dei solchi facciali di chi è a terra segnala l’ingresso negli Stadteil di periferia. Le attività commerciali seguono lo stesso processo di invecchiamento; i megacentri commerciali del centro lasciano il posto ai megastore di materassi economici e ai chioschi per sigarette e giornali, rigorosamente turchi.

Esistono delle fermate nel vuoto, dove non vi sono alveari in cui vivere né chioschi da impollinare. Nessuno sale, nessuno scende. Ma la vettura si ferma, nel buio mattutino di uno dei boschi periferici, o nella sera silenziosa e gelida di un’ansa deserta del Reno, circondata da depositi industriali dai cui recinti fuoriescono come lance enormi pezzi di lamiera rossa.

sabato 12 aprile 2008

morte a poggiofranco Trizio remix

william - io ci ho provato...-

Fui svegliato nella sonnolenta pomeridiana arsura dello scirocco in un paesaggio metafisico di salici e tralicci. Era nella corte immensa dei condomini di Poggiofranco, tubo squadrato a raccogliere il cielo in quattro righe.

Come un incubo uscii dal dormiveglia estivo, in cui qualunque cosa può succedere restando nel sonno e senza conseguenze. Rimasi nell’attesa sospesa infinitamente dell’incertezza…

Mi affacciai a cercare la causa di quel rumore o cosa che m'avesse destato.

Poi, come una cascata, come una valanga, uno chiama due che chiama quattro, allora otto sedici, li vidi: la folla riempì la sala giochi.

Un vociare come di sciame, curiosità e fuga, a tempo, come una quadriglia, come un’onda, andava e tornava la risacca dell’orrore.

Come mosche sulle feci, vespe, entravano a rotolarsi con gli occhi nella morte banale della controra, niente lacrime, facce pallide di chi aveva veduto il sangue, chi aveva seguito col sorrisetto cinico l’amico per vedere, guardare, come fosse sfida metterci il naso.

Ed invece adesso ci rimetteva lo stomaco. S’andavano a vaccinare della morte prima che venisse coperta e la morte gli si donava avidamente, in loro si radicava dal vedere. Il sangue e la faccia immobile improvvisamente gli rivelavano la natura dell’amarena liquida per terra. Sangue... e il sangue suo correva a guardare, a cercare, e tutto in testa gli veniva.

Al sangue il sangue e freddo col freddo si chiamavano.
Allora il corpo bloccava la pancia in uno spasmo, gli tracciava un nodo.

Con uno scatto usciva mentre l’occhio aveva il tempo di collegare le piastrelle gelide smaltate alla macelleria ed al lavabo del dentista e al sangue e al freddo si mischiava la ferita aperta ed il dolore. Allora il brivido gli raddizzava la schiena con una scossa, gli vomitava l’arroganza del suo guardare.

Al balcone quel gelo arrivava ora, in un silenzio assurdo nella folla. Le sirene in lontananza distorcevano lo spazio e quella piazzetta, liquefatta in campi di rovente calore e squadrata di gelida precisione, come un gelato fritto cinese o quelli caduti dalle mani d’un bambino, spalmati oscenamente a terra al sole.

Ora ricordo il grido ghiacciato che mi percorse l’orecchio e la schiena: ho ascoltato il grido dell’agnello sgozzato al marciapiede. Era la canna spezzata della gola, il diaframma che si rompeva mentre tirava il suono fuori, l’istante brevissimo in cui il corpo capiva che con il fiato usciva anche la vita.

E allora con il fiato uscì anche la vita. Vibrando come per scalciare qualcosa, debole oramai, che trattenesse, la vita usciva tutta e potente rombando e tremando come nella gola del capretto.

A me era vertigine. L’ultimo urlo del morto ammazzato avevo sentito e adesso ricordo, minore, quasi un petardo lo scoppio del proiettile. Ricordavo solo adesso, come fosse ovvio averlo sentito.

Adesso pensavo a provare cosa si provava -pensavo - quando entrava, come in moviola, il freddo ferro nella carne, la velocità con cui le ossa o tutta la carne venivano attraversate e spezzate da quel misero pezzo di ferro. Tanto. La falangina del mignolo, la sezione di un Fisher. Perché non si poteva fermare con la mano e lui aveva provato, disperato, come se gli lanciassero una biglia.

La velocità violenta che abbatteva tutto in un piccolo punto. L’infamia dell’esplosione della pistola, chissà se dava tempo: se l’elettricità del dolore riusciva ad avvisare in qualche modo la centralina; se l’ultimo istante, quel grido rotto come i raggi in una ruota di bici, era stato, nel limite di delta t che tende a zero, dolore.

A vederla l’aveva vista, l’immagine l’immaginava, ma quel suono fatto così bene… era vero… e la gente adesso era vera.

Ma quel che non riusciva a comprendere era da dentro che cosa si provava davvero, quando entra come un morso una punta nella carne, una iniezione senza fine. Questo l’ossessionava ora: doveva andare a vedere o doveva scappare, con la moto, lontano.

domenica 6 aprile 2008

Un'altra maria











Un’altra maria fu incinta e vergine
e povera, riscaldata a stufa elettrica,
appartamento di un quartiere popolare.
Gesù nacque di nuovo
nel cesso di una stazione
e lì fu lasciato a dissanguare
- la vergine scappava in pianto
per aver senza peccato
partorito la vergogna -
non ebbe modo di redimere
chè lo trovarono morto e mai risorto.
Non è tempo di salvatori
ognuno preghi se stesso per sé
e faccia ciò che vuole.
La vita non è sacra
è sacra la nostra libertà.