sabato 12 aprile 2008

morte a poggiofranco Trizio remix

william - io ci ho provato...-

Fui svegliato nella sonnolenta pomeridiana arsura dello scirocco in un paesaggio metafisico di salici e tralicci. Era nella corte immensa dei condomini di Poggiofranco, tubo squadrato a raccogliere il cielo in quattro righe.

Come un incubo uscii dal dormiveglia estivo, in cui qualunque cosa può succedere restando nel sonno e senza conseguenze. Rimasi nell’attesa sospesa infinitamente dell’incertezza…

Mi affacciai a cercare la causa di quel rumore o cosa che m'avesse destato.

Poi, come una cascata, come una valanga, uno chiama due che chiama quattro, allora otto sedici, li vidi: la folla riempì la sala giochi.

Un vociare come di sciame, curiosità e fuga, a tempo, come una quadriglia, come un’onda, andava e tornava la risacca dell’orrore.

Come mosche sulle feci, vespe, entravano a rotolarsi con gli occhi nella morte banale della controra, niente lacrime, facce pallide di chi aveva veduto il sangue, chi aveva seguito col sorrisetto cinico l’amico per vedere, guardare, come fosse sfida metterci il naso.

Ed invece adesso ci rimetteva lo stomaco. S’andavano a vaccinare della morte prima che venisse coperta e la morte gli si donava avidamente, in loro si radicava dal vedere. Il sangue e la faccia immobile improvvisamente gli rivelavano la natura dell’amarena liquida per terra. Sangue... e il sangue suo correva a guardare, a cercare, e tutto in testa gli veniva.

Al sangue il sangue e freddo col freddo si chiamavano.
Allora il corpo bloccava la pancia in uno spasmo, gli tracciava un nodo.

Con uno scatto usciva mentre l’occhio aveva il tempo di collegare le piastrelle gelide smaltate alla macelleria ed al lavabo del dentista e al sangue e al freddo si mischiava la ferita aperta ed il dolore. Allora il brivido gli raddizzava la schiena con una scossa, gli vomitava l’arroganza del suo guardare.

Al balcone quel gelo arrivava ora, in un silenzio assurdo nella folla. Le sirene in lontananza distorcevano lo spazio e quella piazzetta, liquefatta in campi di rovente calore e squadrata di gelida precisione, come un gelato fritto cinese o quelli caduti dalle mani d’un bambino, spalmati oscenamente a terra al sole.

Ora ricordo il grido ghiacciato che mi percorse l’orecchio e la schiena: ho ascoltato il grido dell’agnello sgozzato al marciapiede. Era la canna spezzata della gola, il diaframma che si rompeva mentre tirava il suono fuori, l’istante brevissimo in cui il corpo capiva che con il fiato usciva anche la vita.

E allora con il fiato uscì anche la vita. Vibrando come per scalciare qualcosa, debole oramai, che trattenesse, la vita usciva tutta e potente rombando e tremando come nella gola del capretto.

A me era vertigine. L’ultimo urlo del morto ammazzato avevo sentito e adesso ricordo, minore, quasi un petardo lo scoppio del proiettile. Ricordavo solo adesso, come fosse ovvio averlo sentito.

Adesso pensavo a provare cosa si provava -pensavo - quando entrava, come in moviola, il freddo ferro nella carne, la velocità con cui le ossa o tutta la carne venivano attraversate e spezzate da quel misero pezzo di ferro. Tanto. La falangina del mignolo, la sezione di un Fisher. Perché non si poteva fermare con la mano e lui aveva provato, disperato, come se gli lanciassero una biglia.

La velocità violenta che abbatteva tutto in un piccolo punto. L’infamia dell’esplosione della pistola, chissà se dava tempo: se l’elettricità del dolore riusciva ad avvisare in qualche modo la centralina; se l’ultimo istante, quel grido rotto come i raggi in una ruota di bici, era stato, nel limite di delta t che tende a zero, dolore.

A vederla l’aveva vista, l’immagine l’immaginava, ma quel suono fatto così bene… era vero… e la gente adesso era vera.

Ma quel che non riusciva a comprendere era da dentro che cosa si provava davvero, quando entra come un morso una punta nella carne, una iniezione senza fine. Questo l’ossessionava ora: doveva andare a vedere o doveva scappare, con la moto, lontano.

1 commento:

Michele ha detto...

Lo sai che va veramente meglio? Degno del primo giovane Lucarelli...