mercoledì 23 gennaio 2008

la corte


Un sole intenso, appena inclinato… fisso la meridiana di tufo di fronte a me sulla porosa facciata di questa specie di piccolo municipio.

Segni oramai indecifrabili cadono intorno ai raggi di diverse misure che partono da questa freccia di metallo arrugginito contorta posta al centro.

Sembra che il sole si sia spostato, come se un distratto pigro cataclisma ci avesse portato altrove, in un mondo diverso, mentre sonnecchiavamo alla controra.

Di riflesso lo sguardo cade ora sulla mia ombra sulla pietra di tufo, una piccola ombra che pure indica una direzione, sembra che oscilli crepitando nei piccoli forellini calcarei della pavimentazione dove ho messo il passo, mentre il mio sguardo cerca ora la chianca ghiacciata e bianca nascosta in fondo alla piazza, quella chianca liscia e dura che l’antico sapere del mastro pose nei vicoli. Questo pensiero mi pare adesso una sete, una sete inappagabile, una sete convocata da un rumore alla distanza, dalla sensualità del motore fluido della fontana.

È una sete che galoppa con l’acqua che cade a fiotti irregolari, sorniona e morbida.

E la ragazza, scoprendosi graziosamente il collo, mentre tiene i capelli, beve.

Beve lucidando le sue labbra al confine tra rosa e lilla, morbido su morbido, acqua su pelle, poi con naturalezza usa il dorso della mano per asciugarsi, senza pensieri, senza falsa eleganza e per questo con gesto di lupa e cerbiatta.

La lascio fatalmente sfuggire tra i vicoli, seppure ci siamo guardati. Lei non si attarda ad invitare.

Seppure so di essere io a dover dire qualcosa, ad inseguire, a costruire, non la seguo.

Seppure questa estate in me mi invita a correre e sciamare con lei, come con l’ape regina, a piagnucolare di notte come un gatto alla finestra sua, altro mi prende, una immagine e un desiderio più alti.

Sento e so che da lei tutto questo è nato… ma è andato oltre: quel desiderio è divenuto mistico, è esploso e si è disseminato in ogni pietra di questa corte.

Questo desiderio ha fatto la corte e se n’è andato in alto. È divenuto i mille occhi delle persiane, mille sedie pigre dietro le tende filiformi dei freschi bassi, invisibili.

È divenuta vita oltre la vita.

Vita che scala i segni della vita e che trascende, che trasale, che come un fulmine al contrario unisce i punti bruciando in un istante.

Torna nelle nubi, in cielo.

Un cielo collettivo fatto di mille abitanti segreti al riparo dal caldo del sole, che mi comunicano dallo sguardo la loro vita segreta e in me chiedono un pezzo della realizzazione dei desideri pubblici di continuare la vita, mi chiedono un ruolo fastidioso e rilassante, come fare il morto nella corrente di levante a mare, farsi portare.

Una morbida compatta trascinante acqua che ci porta.

Ora non voglio turbare con azione questa bellezza.

Questa bellezza di cui cerco di far parte facendo spazio in me, senza violarla, con i ritmi lenti dell’amore di provincia, fatto di sete, fatto di seta.

Questa bellezza che ieri, solo ieri, ad agosto, era saccheggiata dai turisti che hanno saggiamente riempito di rimmato il pitosforo ipertrofico delle siepi cubiche inscatolate davanti al bar al neon, ma che pure han violentato di mozziconi fumati il geranio della signora del basso… Cavallette.

Sembra ora curato da invisibile esercito di vecchiette.

Nella piccola eterna cura delle corti di paese lavano la strada come casa loro, avventurandosi ben oltre la soglia e, alla controra, sedute dietro persiane verdone ruvide di legno guardano il mondo vivere. Guardano bimbi nei vicoli giocare nuovi giochi strani e quelli eterni. La sera, sedute in semicerchio allargano fuori la loro corte nel fresco, alle commari che si vogliono unire.

Un grande vento di scirocco è entrato ieri aprendo la mia finestra (poggiata) e ha dato un altro ordine alle mie carte macchiate di sugo.

Queste parole, ora lo vedo, vogliono volare, ricordando qualcuno, sono stanche della penombra di un tavolo di legno e chiedono di tornare al giorno che le ha generate.

Queste carte pallide, diafane e bianche vogliono diventare di bronzo, smaliziarsi, durare nel tempo, acquistare colore al sole, vogliono essere specchio adesso e riflettere.

1 commento:

Cristò ha detto...

Capisci da solo perché non puoi stare a Roma - la tua scrittura è nostra - rimane sotto la lingua come l'amaro delle cozze pelose e si contorce su se stessa come un ulivo.