lunedì 28 gennaio 2008

Ubahn, parte II

Il lettore mp3 si intreccia con la voce metallica, in maniera odiosa e indissolubile. Non sussiste possibilità alcuna di districare quel ferreo dolore da quanto emesso dalle cuffie. Cercare gli sguardi altrui diviene una speranza di salvezza. Si cerca qualcosa fuori.
Se poi i percorsi ferrati risultano poco noti, o se addirittura le immagine esterne non riescono ad armonizzarsi con la capacità visiva e con la memoria, come capita al sottoscritto, all’incredulità seguita all’irruzione della distonia si accompagna l’inquietudine. Non più linee di fuga verso l’esterno, a cercare ciò che famigliare non potrà mai diventare; ma anche l’inaspettato quanto ingrato compito di sondare l’umanità, di penetrare il nesso nascosto e segreto tra la signora anziana, lo studente, il tossico dipendente e l’immigrato turco. In quel nesso il mio momento, il mio ritagliarmi la mia porzione di spazio, la mia fermata.

Se queste linee di fuga fossero proiezioni parigine, probabilmente si dissolverebbero nel buio dei sotterranei, dove le vetture attraversano uno spazio inesistente, se non aldifuori del percorso severamente riportato sulle microscopiche mappe gratuite distribuite presso le biglietterie. Anche quello spazio è fittizio, perché non riporta nomi di strade, parchi e musei, ma solo approssimativamente 24 linee di colore diverso, 24 creazioni originali di non luoghi a procedere. A volte si viene allo scoperto, ma per poco, giusto il tempo di ricordarsi che tuttavia quello spazio un’esistenza la possiede, anche se non umana.

Ma le linee di fuga che mi attraversano ogni giorno a Colonia non si perdono nel buio. Si perché quei treni che si inabissano sottoterra, rispuntano sempre, rinnovati, per diventare tram, e per poi immergersi ancora. Lo spazio qui è quello seghettato di un pettine, alternato, tra il chiuso e l’aperto; solo che qui non si passa per capelli grassi e unti, ma tra i battiti veloci di ciglia nervose, come un fastidioso tic estivo.

2 commenti:

clara ha detto...

le distonie delle nostre esistenze e l'equilibrio che ci manca come spinta quotidiana, l'equilibrio ricercato dappertutto. i suoni, le immagini, lo schizzo a matita di un viso quotidiano, le mollette con cui appendere i calzini, non è anche questa una ricerca di equilibrio e proporzione?
forse è semplicemente l'estremo bisogno di meccanicità cui far riferimento e da cui sistematicamente sfuggire, forse è tutto qui il nostro gioco di risposte e domande, si e no buttati a casaccio per essere sicuri di essere ancora vivi e sensibili, parlare e scoprire ancora una volta, ogni istante, quanto sia ancora umana la nostra voce...
la distonia sarà nelle mie ciglia tra qualche istante, tra mie ciglia impettinabili e, nel frattempo, guardo fuori dalla mia finestra e preferisco non parlare.

Cristò ha detto...

Questo viaggio in metro è lungo come un viaggio vero... un viaggio fatto con la valigia piena... un viaggio fatto per tornare chissà quando, chissà se...
...il tempo si srotola davanti e si riarrotola dietro lasciandoci soli nel presente.